
Grazie alla possibilità di sfruttare le proprietà intrinseche dei bioreattori enzimatici, è attualmente in forte espansione il settore della fabbricazione di biosensori di questo tipo, il quale ha attirato l’attenzione di numerose industrie.
In particolare, suscitano molto interesse i biosensori a base dell’enzima laccasi: grazie alla loro capacità di rilevare molecole altamente tossiche nell’ambiente diventano strumenti essenziali nei campi delle tecnologie di produzione industriale, con un basso impatto ambientale.
Un gruppo di ricerca dell’Istituto di struttura della materia del CNR ha avviato la produzione di un nuovo biosensore a base di laccasi, esente da metalli, con capacità di riutilizzo e conservazione senza precedenti; per evitare il distacco dell’enzima durante l’utilizzo è stata usata, come tecnica di immobilizzazione enzimatica, l’applicazione della metodologia di deposizione elettrospray (ESD).
Lo studio è stato condotto in collaborazione con il Dipartimento di chimica dell’Università Sapienza di Roma, l’Università di Foggia e i ricercatori degli istituti CNR di geologia ambientale, geoingegneria e di metodologie per l’analisi ambientale.
La ionizzazione elettrospray (ESI) è stata utilizzata per la deposizione, a pressione e temperatura ambiente, dell’enzima laccasi su un substrato di carbonio impiegando una chimica sostenibile. Il lavoro mostra come tale tecnica possa essere sfruttata con successo per la fabbricazione di un nuovo promettente biosensore elettrochimico amperometrico a base di laccasi ecocompatibile, con capacità di conservazione e riutilizzo senza eguali.
Il risultato più rilevante riguarda le grandi prestazioni in termini di riutilizzo e stoccaggio: quest’ultimo può arrivare fino a 2 mesi senza particolari cure, lasciando il biosensore a pressione e temperatura ambiente ed esposto alla luce solare. Inoltre, la possibilità di riutilizzare un sensore appena realizzato per 63 volte consecutive e un sensore vecchio di un anno sottoposto a rideposizione per 20 volte consecutive, sottolinea il buon ancoraggio dell’enzima grazie alla tecnica di immobilizzazione ESD.
Il risultato ottenuto dai ricercatori è confermato dal confronto con la più comune tecnica del drop casting, che non è in grado di competere in termini di stabilità nel riutilizzo. L’assenza di sostanze chimiche aggiuntive in fase di immobilizzazione e le peculiari prestazioni relative al riuso, alla stabilità nel tempo e al ricondizionamento del sensore, rendono sia il processo che il prodotto finale ecologico e sostenibile.
La procedura ESD può essere estesa ad altri tipi di enzimi o macromolecole bioattive; pertanto, può trovare applicazioni interessanti e di successo nella biotecnologia e nella bioingegneria.